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conteneva; le foreste furono incendiate, e d’ora in ora cadevano, e sparivano, – e i tronchi si estinguevano crepitando, – e tutto era nero. Le fronti umane a quella luce disperante vestivano un aspetto non terreno, quando la fiamma guizzando ci batteva sopra; alcuni si prostravano, e si celavano gli occhi, e piangevano; altri restavano col mento appoggiato sulle mani chiuse, e ridevano; ed altri correvano su e giù, alimentando di legna le tetre cataste, e con matta inquietudine guardavano uno stupido cielo, manto funerale d’un mondo defunto, e quindi si giacevano nella polvere maledicendo, e digrignavano i denti, ed urlavano. Gli uccelli di rapina stridevano, e volavano a terra esterrefatti, battendo inutilmente le ali; le fiere le più salvatiche vennero tremanti e mansuete; le vipere serpendo si avvinghiavano fra le moltitudini, e sibilavano, ma non pungevano; – esse furono uccise per cibo. E la guerra, che per un momento stette sospesa, si saziò nuovamente; – un pasto fu compro col sangue, e ciascuno sedè cupamente da parte, pascendosi nella oscurità. Non vi era più amore; – tutta la terra non era che un pensiere, e quel pensiere era morte immediata, ingloriosa; e gli spasimi della fame corrodevano le viscere a tutti, – gli uomini morivano, e le loro ossa stavano insepolte come la loro carne. Gli affamati mangiavano gli affamati, e i cani stessi assalsero i loro padroni, tutti fuori che uno. Questo fu fedele ad un cadavere, e tenne a bada gli uccelli, le fiere e gli uomini, finchè la fame non gli ebbe distrutti, o il cadere d’un altro cadavere non solleticò le loro vuote mascelle; ma il cane non cercò cibo, bensì con pietoso e continuo ululato, e con un grido acuto, desolante, lambendo