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ve, – e di sotto a loro il lago largo, e lunghissimo, e il Rodano azzurro nella sua pienezza; intesi i torrenti sgorgando saltare su per le roccie, e sui rotti arbusti; vidi la lontana città dalle bianche mura, e vele più bianche, che giù correvano veloci; e allora v’era un’isoletta4, che mi rideva in faccia, l’unica, che fosse alla vista; – un’isoletta verde, e non sembrava più larga, che il pavimento del carcere mio. Ma sopra vi erano tre alberi alti, e vi spirava la brezza della montagna, e vicine le scorrevano le acque, e vi crescevano giovani fiori, gentili al fiato, e al colore. Nuotavano i pesci presso le mura del castello, e tutti mi parevano allegri: l’aquila correva sull’alto dei venti, nè mi parve corresse mai sì veloce come allora, che faceva sembiante di volare alla mia volta; e allora nuove lacrime mi tornarono negli occhi, ed io mi sentiva commosso, nè avrei voluto aver lasciata la mia recente catena: e quando io scesi al basso, la tenebra della mia dimora mi cadde sullo spirito come un peso gravissimo: era come una fossa scavata di fresco, che si chiuda sopra colui, che tentammo salvare; e pure il mio sguardo, oppresso di troppo, quasi aveva bisogno di un siffatto riposo.


XIV.


I giorni, i mesi, e gli anni passano; – io non li numerai, nè vi posi mente: non aveva speranza di sollevare i miei occhi, e sgombrarli della tetra loro caligine. Finalmente uomini vennero a farmi libero; ma non ne chiesi la ragione, nè mi curai dove andare: per me era tutt’uno, starmi sciolto, o nei ferri; – io aveva imparato ad amare la disperazione. E così quando vennero a sciogliere i miei legami, quelle