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libro, e nel chiuder la porta vidi che il suo figliuolo prendeva un guanciale. – Io pensava, – disse il curato, – che voi altri uomini d’arme non diceste mai fiato d’orazione. – La notte passata intesi il povero gentiluomo che recitava le sue preghiere, – disse l’ostessa, – e con tutta divozione, e lo intesi con queste mie orecchie, altrimenti non ci avrei creduto. – Ne siete certa? – riprendeva il curato. – Un soldato, scusimi Vostra Riverenza, – favellai allora, – prega sovente, e spontaneo, al pari d’un parroco, e quando egli combatte pel suo Re, per la vita, e per l’onore, ha più ragione di pregare a Dio, che persona di questo mondo. ― Ben parlasti, o Trim, disse il mio Zio Tobia. ― Ma quando un soldato, – scusimi Vostro Onore, – risposi, – è stato dodici ore di séguito in piedi, fino ai ginocchi nell’acqua ghiaccia, o impegnato per mesi intieri in lunghe e pericolose marcie, oggi per avventura inseguito, dimane perseguitato – mandato in un luogo, – quindi richiamato, – una notte riposando sull’armi, – l’altra destato a battaglia in camicia, – assiderato nelle giunture, – e senza un po’ di paglia nella tenda per coricarvisi sopra, – un soldato allora deve fare orazione come e quando può, – e credo, – continuai a dire, essendo punto sul vivo per la riputazione dell’armata, – e credo, – scusimi Vostra Riverenza, – che quando un soldato abbia tempo, preghi di cuore da quanto un parroco, e certo con meno boria ed ipocrisia. ― Ciò non dovevi dirgli, – disse il mio Zio Tobia, – che Dio solo conosce chi sia l’ipocrita, o no. Al grande esame di noi tutti, o Caporale, al giorno del giudizio, (e non mai fino a quel punto,) vedremo chi abbia adempito al suo ufficio in questo mondo, – e chi no, – e ne avremo premio secondo il merito. ― Spero di sì, – disse Trim.