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III.


STORIA DI LE FEVER




Era di poco avanzata l’estate di quell’anno in che gli alleati presero Dendermond, – e il mio Zio Tobia sedevasi a cena, e Trim sedeva dietro di lui a una tavoletta, allorchè il padrone di un alberghetto del villaggio entrò nella stanza a chiedere un bicchiere o due di vin di Canarie. ― È per un povero gentiluomo, io credo dell’armata, – diceva l’oste, – e son quattro giorni, che il male l’ha côlto in casa mia, nè d’allora in poi ha più sollevato la testa, o avuto voglia di gustar cosa alcuna, se non che ora appunto gli è venuta vaghezza d’un bicchier di Canarie, e d’un crostino. – Io penso, – ha detto il malato levandosi dalla fronte la mano, – io penso che se vorrà, conforterà. – Se nol potessi chiedere, o prendere in prestito, o comprare, – soggiugnea l’oste, – vorrei quasi rubarlo per amor del povero gentiluomo, che è malato di tanto. E spero in Dio, – continuava, – che ogni dì più andrà migliorando, – perchè ci sta troppo a cuore la sua salute. ― Poffare il mondo! – sclamava il mio Zio Tobia, – tu sei di buona pasta, e berrai tu pure un bicchier di Canarie alla salute del povero gentiluomo, e gliene recherai due bottiglie