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può badare alle Vergini Muse, che poverette oggi son orfane, e non hanno un padre buono a dar loro una dote di dieci mila filippi. Io non prendo moglie, nè mi tormenta l’ansia d’imporre scudo sopra scudo. No, per l’anima di mia madre! io lo posso giurare; non sono, nè sarò un avaro giammai! I giganti quando accavalcavano monte sopra monte tentavano scrollare il trono di Dio, e l’idea animatrice di quel concetto, temeraria se vuoi, era per altro sublime di una grandezza sì terribile da far palpitare anche il cuore di un Dio; ma l’avaro salito sulla piramide dei suoi mille sacchetti, che pretende dalla terra, o dal cielo? Che vuole? che disegna di fare? Povero avaro! egli è condannato a non poter voler nulla, – ultima miseria dell’anima umana. Ma tregua alle digressioni. Noi siamo d’accordo, – non piglio moglie, e non sono un avaro; – però sono un povero, nè deve parerti strano, chè tu pure in siffatte discipline mi sembri sufficiente dottore. Amo le Muse, è vero, e di candido amore, ma sono inretito in tante e tali traversie, che non posso spendere un soldo per comprar loro un mazzo di fiori ora che è il mese dei fiori, e la Natura li crea ad ogni respiro che muove, e le graziose venditrici te li vengono offerendo col più bel garbo del mondo, e a così poco prezzo. Amo le Muse, è vero, ma non posso dar loro, che un ingenuo saluto, e i profumi di un cuore innamorato. E tanto basti del Manifesto, e così abbia fine l’Idillio.
Nei giorni scorsi mi posi a leggere il Wallenstein di Schiller, e mi sono accorto, che per me non è impresa da pigliarsi a gabbo, almeno la prima parte intitolata ― Il campo di Wallenstein. ― Mi riesce a mala pena d’intenderne un verso qua e là, e le al-