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d’un angiolo. Delle sue opinioni non parlo: le più importanti trapelano a chi sa intendere anche dai pochi scritti raccolti in questo volume. Amava religiosamente la Patria; nè, rara dote nei tempi nostri, mutò mai: migliorò; — come un bel cielo al tramonto, le facoltà del suo cuore andarono via via rasserenandosi quanto più egli s’accostava all’ultimo giorno. L’ingegno pronto ed acuto, l’osservazione diligentissima, il senso ch’ei possedeva squisito del Bello sotto qualunque anche poverissima forma si presentasse al suo sguardo, la singolare facilità con ch’egli potea trapassare dalle corde dell’onesta letizia a quelle della commozione più profondamente patetica, una insolita dolcezza di stile, e l’anelito all’Infinito, e l’anima nata ad amare e inchinatissima alla pietà, avrebbero forse in altri tempi fatto di Carlo Bini il Gian Paolo Richter dell’Italia; ma egli non avrebbe mai potuto scrivere a chi lo conobbe, libro migliore della sua vita.

Morì côlto d’apoplessia, il 12 Novembre 1842 nell’età di trentasei anni1, dopo quaranta ore più che di agonia di letargo, in Carrara, dov’ei s’era per affari recato. Ma le sue ossa, trasportate devotamente per voto di tutti ed opera degli amici a Livorno, riposano dov’io forse non potrò mai più visitarle, a Salviano, nel cimitero.

Nè gemo per lui; perchè gemerei? Il suo pensiero gli sopravvive, più potente a spandersi invisibile

  1. Egli era nato in Livorno, il 1.º di Decembre 1806.