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dava di cure delicate e di sante consolazioni il malato, l’animava, l’aiutava al terribile varco. Ufficio sacro e gravissimo del medico è questo, porgere all’estrema miseria l’unico rimedio che resta, il conforto.

Non fu nè avido, nè avaro; eccedeva invece nelle qualità contrarie. Chiamato appena, visitava prontissimo il povero, con amore lo curava, lo sovveniva di consiglio, e, meglio ancora, gli lasciava la moneta perchè supplisse al bisogno. Dagli amici non voleva mercede delle sue fatiche, ed ostinatamente rifiutò il legato d’un piano di casa, che un suo cliente presso al morire voleva ad ogni patto lasciargli.

Ma le opere di beneficenza furono la sua voluttà suprema, il respiro dell’anima sua. Beneficò nobilmente e senza ambizione, con quel pudore, che impedisce o medica l’offesa, che suole spesso recare il benefizio. Aperse al profugo la casa, all’indigente la borsa, e dava volontieri, senza farsi ripetere la richiesta. Giovava con ogni sorta d’uffici l’amico, e chiunque potendo. Assisteva molti dei suoi parenti largamente, continuamente; e mortagli una sorella, accoglieva nella propria famiglia il marito, e cinque figliuoli. Per uno di questi spendeva 80 Lire il mese solo a farlo educare. Senza essersi creato una famiglia sua propria, aveva viscere e istinto di padre.

Nè gli mancarono i disinganni, come avviene a chi vive praticamente tra gli uomini; ma intento sempre ad un segno non torse mai un momento dalla traccia segnata ab antico; la fede non gli venne mai meno, perchè sapeva distinguere tra l’umanità, e l’individuo, tra il principio eterno universale, e il fatto transitorio e parziale.

Amò gli uomini, e la Patria Italiana, e fu caldis-