minciò il dubbio sull’importanza della vita, cominciò la lenta
etisia dello spirito che lo consumava fin da quando io convissi, or
sono tredici anni, parecchi giorni con lui. Tra le abitudini prepotenti
d’un’analisi venuta a disciogliere e i barlumi d’una sintesi nuova,
tra le vecchie tristi dottrine, che insegnavano una vicenda alterna
inevitabile di vita e di morte in tutte le umane cose, e la filosofia
religiosa, che annunziava l’eterna progressione ascendente dell’Umanità
collettiva in un vasto piano d’educazione assegnato dalla Provvidenza,
l’intelletto di Bini, tendente per potenza intrinseca e per tutte le
aspirazioni del cuore a quest’ultima, ma sconfortato dalle incertezze
che regnano in tutti cominciamenti, e più dal contrasto visibile fra
l’Ideale intravveduto e gli uomini che doveano rivelarlo in azione,
invocava, a decidersi, un segno. Pronto a dedurre con un vigore non
comune di logica le più remote conseguenze d’un principio, e avvezzo da
molto a conformare, non per sistema, ma per natura, gli atti della vita
alle credenze dell’intelletto, ei si sentiva dalla contemplazione delle
generazioni contemporanee tratto a dubitare della verità dell’Idea. E
allora, quand’ei non vedea più per chi sagrificarsi o per che, la vita
gli sembrava un problema insolubile quando non una trista ironia, e
tutte cose gli si tingevano a nero. Un riflesso di questa guerra tra
l’intuizione dell’avvenire e la conoscenza anatomica del presente,
che s’agitava dentro lui tormentosa, continua, gli pareva, quand’io