tore, il Poeta, era,
com’è per noi, l’apostolo, il sacerdote di quel pensiero, l’uomo
che traducendolo in forme, immagini ed armonie particolarmente
simpatiche, commove il popolo dei credenti a tradurlo in azione. Ma
quand’ei cercava, guardandosi attorno, il popolo di credenti che dovea
costituirlo Poeta e Scrittore, ei si ritraeva atterrito. Ricordo le
parole ch’ei rispose con voce di mestizia ineffabile a me che andava
spronandolo: «perchè non scrivi?» mentre viaggiavamo, nel 1830, a
notte innoltrata, sulle alture di Montepulciano: «per chi scrivere?
chi crede in oggi?» Fu l’unica volta ch’ei mi parlò, quasi forzato, il
suo segreto, e lo stato dell’anima sua. Più tardi, e come s’ei temesse
di calunniare i suoi fratelli di patria, andava innocentemente tentando
d’ingannare sè stesso e gli altri sulle cagioni del suo silenzio, e
diceva, «ch’ei s’era esplorato abbastanza e non si sentiva capace di
lunghi importanti lavori.» Ma un eco di quel grido del povero amico
suona tuttavia a chi sa intenderlo per entro ad alcune delle poche
cose ch’egli dettò, segnatamente nella poesia sull’Anniversario della
nascita. Quel canto, ch’egli scrisse col presentimento avverato di una
morte precoce, è la condanna la più energica ch’io mi sappia del dubbio
che s’abbarbicò negli anni più giovani, quando l’ali son più ferme al
volo, all’anima sua, e la stancò innanzi tratto in una guerra muta,
interna, incessante, fra il desiderio che la chiamava ad espandersi
e lo sconforto che la dissuadeva. Ma quel dubbio d’onde