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citando la mente, adonterà lo straniero di ridere su le miserie dei prostrati che gemono: poichè se l’un popolo sale, e l’altro discende, non sappiamo noi se debbasi riputare in tutto opera umana, o legge che si diparte dall’ordine di questo universo, o cieco moto di Fortuna; e, posto ancora che l’uomo sia nato alla guerra e alla morte dell’uomo, cessi l’insulto, e pianga invece questa necessità di guerra fraterna, da che alle immense sciagure non possiamo dare che il pianto; e tremando aspetti lo alternare delle sorti, da che non è stata nazione, per quanto si voglia potente, che nella sua giornata di secoli non abbia segnato l’occaso. E lo straniero peregrinando le belle contrade levi la fronte, e ammiri splendido pur sempre di bellezza immortale questo cielo italiano, dove un giorno nell’infanzia delle moderne società spuntava il Sole della scienza a salutare del suo raggio l’Europa; levi il pensiere, e ammiri come gli abitatori della bella Penisola tra le ruine del tempo e degli uomini si resero degni pur sempre cogli atti dell’aere felice che spirano. – Niuno pronunzia il nome d’Italia, senza che non gli sorga dinnanzi l’immagine d’innumerevoli glorie, e la rimembranza che in lei non è spanna di terra dove non abbia calcato l’orma un eterno: ma noi finora non fummo Italiani che per legge di suolo; in questo suolo molte generazioni sorsero, stettero, e caddero, ma silenziose, perchè nude di liberali istituti non lasciavansi dietro grido di fama, o durata di monumento che le attestasse ai futuri. La terra sola, poichè serba le ossa dei trapassati, potrebbe dirci come qui sieno vissuti degli uomini.
O nostri concittadini, sosterrete voi dunque, che dispersa erri la parola di pochi animosi, senza che