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E quand’anche trabocca, dite: – è poco.
Ma che volete il vino giù a rovesci?
Ma dite, il vin v’ha fatto la malia,
Che ci stareste come in mare i pesci?
. . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Voi per il vino anderete dannato,
Non c’è rimedio; – voi fareste tutto
Col vino, ci fareste anche il bucato.
In una chiesa un dì parata a lutto
Entraste a sentir Messa, e dalla fè
Sembravate compunto, anzi distrutto,
Ma quando il Prete ritto su due piè
Alzò il calice in aria voi gridaste:
– Don Girolamo, lasci bere a me, –
Agnolo mio gentil, voi m’ingannaste
Una volta nel dir, che tre sirene
Vi regnavano in cuor leggiadre e caste;
Eran tre damigiane piene piene. –
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Agnol, voi siete il vino in corpo umano,
E voi sarete il vino sotto terra,
E chi il negasse negherebbe invano.
Voi mi diceste un dì: – se vien la guerra
Vo’ portare una pevera per casco,
E far con una botte il serra serra. –
Diceste ancora: – s’io morto non casco,
Giuro sull’uva bianca, gialla, e nera,
Che mi farò una casa come un fiasco. –
Voi siete per il vino una bufera,
Una tromba marina, e un vostro dito
Alza un barile come altri una pera.
Bevete in ogni lingua e in ogni rito,
In istil di tragedia, e in stil di farsa;
Or bevete arrabiato, ora contrito.
A definirvi la parola è scarsa,