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Non fosse reo, darebbe un qualche morso
Almeno al ciel, che gl’innocenti spolpa
Così del poco ben che regna in terra,
E non ne dà ragion, nè si discolpa. –
Agnol, sentite: io vi farò la guerra,
Se non mutate stil, se non cessate
Di viver come un morto sotto terra.
Voglio sentirvi taroccar, le ingrate
Stelle accusar voglio sentirvi, e un suono
Vo’ sentir misto d’urli, e di pedate
Contro la porta; e tanto sia il frastuono
E il nabissare e il baccano, che ognuno
Più non vi adori come un Santo buono.
Ira e dolor manifestate, e il bruno
Mettete al fiasco, ma non lo rompete,
Che non vi è dato regger quel digiuno.
. . . . . . . . . . . . . . .
Agnolo mio dabbene, Agnol gentile,
Andate sulle furie, io ve ne prego,
E la mia prece non abbiate a vile.
Se non v’imbiestalite, io me la lego
Al dito, ed ho memoria sì vivace,
Che sull’offese non dà mai di frego.
Se al mio comando siete contumace,
Vi farò guerra sino al finimondo,
E non varrà che dimandiate pace.
Star contento in prigione, e far giocondo
Viso ai rabuffi di sì rea fortuna?
Io nol so concepire, e mi confondo.
. . . . . . . . . . . . . .
E quanto al ber, ci vuol discrezïone;
Farlo in presenza a tanta ribaldaglia
È un affogare la riputazione.
È ver che avete di sì buona maglia
Fatto il cervello, che puote una brocca