Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
E canta una canzone in melodia
Festosa, e alfin si cheta, come un vento
Lieve, che agita un fiore, e poi va via.
Ma torniamo di botto all’argomento,
Non divaghiamo, – che se no, si sfuma
Il mio vapore, e il fuoco si fa spento.
Che debbo dir di voi? chi il sa? la piuma
Dell’ingegno è già cionca . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . .
Ma non levate a Dio vostre querele,
Agnol, chè potria dirvi: olà, tacete;
Pei vostri falli questo è un pan di miele.
Chi sa, che avete fatto? Io, se non siete,
Pur vi credo un buon uom; ma Dio ci vede
Anche nel buio, ed oltre la parete.
A vedervi in prigion non ci si crede,
Avete l’aria dell’Angelus Domini,
Siete il ritratto della buona fede.
Nondimeno alle volte son quegli uomini
Appunto come voi, che fanno un sette
Apparir per un cinque; – e se predomini
In cotestoro il vizio, o se le rette
Arti della virtude, ella è una cosa,
Che di subito in chiaro non si mette.
Se devo dir per me, siete una rosa
Candida, e ve lo dico con tal cuore
Che il mio parlar non ha mestier di chiosa.
Voi siete un pan di zucchero, un amore
Senz’ali e senza freccie, ma con gli occhi;
Voi siete un Santo . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . .
― Che serve esser Santo, e le faville
Mandar celesti dall’accesa faccia,
S’Ei non sa scivolar come le anguille
Dai Birri? ― E voi pur deste in quella caccia,