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NOTE E APPENDICE.


«Le Sette Giornate non furono immaginate dal Tasso in prigione, ma a Napoli, molti anni dopo, nella villa del Marchese Manso, a richiesta della Madre di questo Signore».

Questa Nota è apposta in margine nel MS. dell’Autore, ed è d’altra mano: credesi di un amico suo, al quale, relegato con lui in quelle prigioni, ei dava a leggere i suoi quaderni di mano in mano che erano scritti. ― Vedi Serassi, Vita di Torquato Tasso; vol. II, pag. 226, – Berg. 1790.

Qualche distrazione pur valse talvolta ad alleggerire il peso della noia sì vivamente sentita e dipinta dall’Autore. Il suo spirito si effondeva vivace, e poteva eccitare il sorriso anche nelle angustie del carcere, poichè gli era concesso di conversare scrivendo co’ suoi concaptivi. E lo provano alcuni Capitoli, diretti ad uno fra loro, de’ quali crediamo sufficiente offrire ai Lettori alcuni frammenti. Non mancano in essi la purezza, l’abbondanza, la vivacità dello stile, ond’ebbero vanto di Classici alcuni Scrittori italiani, specialmente del Secolo XVI, per siffatto genere di componimenti. E se questo non è avuto in pregio e consentito egualmente ai tempi nostri, giova rammentare come nascessero, e dove, i versi che seguono.

A MESSER AGNOLO

CARCERATO CONTENTO.

        Agnolo, ho in capo il ticchio della rima,
      Nè mi occorre argomento altro, che il vostro;
      Segno chiaro d’amore, o almen di stima.
        Che fareste altramente in questo chiostro,
      Se non scriveste? E a me non manca nulla;
      Ho pagato la carta, e ancor l’inchiostro.
        E poi la Musa mia è una fanciulla
      Di garbo, e non ha odio a chicchessia,
      Ma tratto tratto salta e si trastulla;