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CAPITOLO XXI.
― E del mondo che n’è stato? ― Cosa volete, ch’io ne sappia, io che son qua nel Limbo? Io ho lasciato il mondo con un segno a traverso, come si fa d’un libro non finito di leggere. E chi sa, se all’uscire troverò più il segno? Chi sa cosa sia seguito del mondo? – potrebbe essere stato scosso da una seguenza di terremoti, – allagato da un nuovo diluvio, – potrebbe essere anche sparito, ed io non saperne nulla! Cosa volete sapere, o sentire, quassù nel Limbo, dove si sta un piano almeno sopra le nuvole?
Chi sa cosa possa esser seguito? Quando io lo lasciai, era una matassa arruffata davvero, – e tutti aguzzavano l’occhio a trovarne il bandolo; – e forse è il mio bene, che adesso io non ci sia dentro. Voi sapete come vanno le cose laggiù. Io non sono molto destro a girarmi, nè posso allungare il passo un’oncia più dell’usato; – e quando il mondo è in baruffa, credete, che una gamba lesta vale un diamante, e una testa leggiera si trasporta via più comodamente. Guardate Archimede, che viveva alla buona, pensando che gli uomini non fossero quello che sono; – che fidava nella sapienza, e non sapeva, quel vecchio dabbene, che due bestie son buone a mettere in prigione un filosofo, e a trattarlo anche peggio! Guardate Archimede, e specchiatevi in lui! Prendevano Siracusa d’assalto, ed ei non se ne accorgeva; – un soldato Romano gli entrava nella camera, ed ei non se ne accorgeva; il soldato Romano d’una testa gliene facea due, ed Archimede non ebbe tempo di accorgersene, perchè invece di vivere nel mondo coi lombi precinti, e col bastone in mano,