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dente ne’ secoli XII e XIII1, e ch’egli vi avesse rinomanza soltanto per suo trattato d’aritmetica il quale fosse noto per fama se non per traduzioni popolarmente diffuse: onde si giungesse perfino a prendere il suo nome d’algorismo nel significato speciale di calcolo decimale, o anche nel generico di metodo calcolatorio quale gli sembra attribuito nella prefazione del Liber Abbaci di Leonardo Pisano.
In questo trattato i caratteri che rappresentano i primi nove numeri sono chiamati litere ovvero note, e vi si avverte una diversità inter homines nel figurare taluni di essi: «fit autem hec diversitas in figura quinte litere et sexte, septime quoque et octave» (pag. 1-2). A rappresentare lo zero adopea «circulum parvulum in similitudinem .o. litere» (pag. 3); e di siffatti circoli fa pure uso scrivendo le frazioni sessagesimali per indicare i gradi, i minuti, o altre suddivisioni che mancano (pag. 20 e 21), nel modo appunto che costumavano i greci ponendovi un omicron2. È notabile che si trovano lacune nel manoscritto dappertutto dove avrebbero ad essere delineate le cifre numeriche degl’Indiani o Arabi, il che sembra significare che il copiatore non ne avesse pratica e fosse inabile a riprodurle.
Intanto sarebbe provato che fin dal principio del nono secolo, e non solamente nella seconda metà del decimo come il sig. Woepcke dedusse da un manoscritto arabo della Bibl. Imp. di Parigi3, gli Arabi usavano le cifre indiane e foggiavano lo zero a guisa d’un o. Il che rimove una obbiezione proposta contro l’origine araba del nostro