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capo xix. 53

passava fra la Repubblica e quelle due potenze, e il genio benevolo de’ loro inviati, segnatamente Urault de Maisse e Dufresne Canaye francesi, e Wotton inglese, i quali a Venezia portavano una sincera affezione, e si erano guadagnata l’amicizia de’ principali. Onde anco il consultore e teologo poteva senza pericolo o infrazione alle leggi conversare con loro. Forse quella tolleranza era un tratto di politica del governo per mostrare a quelle due potenze l’illimitata fiducia che poneva in loro; e alle altre l’intrinsechezza che passava tra quelle e la Repubblica. E si avverta ancora che Frà Paolo non corrispondeva, di cose di Stato, nè per lettere, nè a voce con alcuno senza l’assentimento del Collegio. La citata legge fu poi tornata in vigore e fatta anco più severa dopo la cospirazione del 1618, di cui parlerò al capo XXV.

A’ 14 maggio 1610 Enrico IV re di Francia cadde assassinato da Ravaillac, in conseguenza delle massime fanatiche di quel tempo; il qual caso riuscì molto grave a Venezia, e in Frà Paolo promosse nuovo sdegno contro la Curia romana che avvalorava il regicidio, e contro i gesuiti che pubblicamente lo predicavano. Questa sêtta facinorosa spinse la sfrontatezza fino a pubblicarne l’apologia; imperocchè in quell’anno medesimo il gesuita Eudemone stampò la difesa del suo correligionario Enrico Garnet complice nella congiura delle polveri; e il cardinal Bellarmino pigliando a pretesto di confutare Guglielmo Barclay, stampò il Trattato della Potestà del Papa, nel quale il regicidio è spacciato come una massima cattolica. Questo libro, uscito