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40 capo xviii.

che Enrico IV col mezzo del sua ambasciatore fece vedere quella lettera al Senato, togliendovi solo il nome del doge. E dopo che Daniel ha riferito il tenore di quella lettera in cui non è parola di Frà Paolo, dice non pertanto che esso Frà Paolo fu citato e accusato nella copia di lettera mostrata al Senato. Non nomina il pastore calvinista che l’ha scritta, e si osservi ancora che ivi si trattava di gesuiti, i quali erano banditi dalla Repubblica. In ultimo Daniel usa di questo ripiego che imputa ad Eurico IV, come una prova dello zelo di lui per la religione cattolica. Ma singolar zelo di Enrico sarebbe stato cotesto di mettere la discordia nel Senato, il migliore de’ suoi amici, e mescolare la parte spregievole dell’imbroglione e del delatore al personaggio glorioso del pacificatore. Può essere che siavi stata una lettera, vera o supposta, di un ministro di Ginevra; che essa abbia prodotto alcuni piccioli intrighi indifferentissimi ai grandi oggetti della storia; ma è affatto incredibile che Enrico IV sia calato alla bassezza di cui Daniel gli fa onore. Il quale aggiunge che chi ha relazione con eretici, o è della loro religione, ovvero nessuna ne ha. Riflessione odiosa anco contra Enrico IV che fra tutti i suoi contemporanei ebbe più di ogni altro relazioni con riformati. Sarebbe da desiderarsi che il P. Daniel ci avesse ragguagliato della amministrazione di Enrico IV e del duca di Sully, anzichè entrare in queste inezie che mostrano più parzialità che giustizia, e rivelano sgraziatamente un autore più gesuita che cittadino».