Pagina:Bianchi-Giovini - Biografia di Frà Paolo Sarpi, vol.2, Zurigo, 1847.djvu/43


capo xviii. 35

le parti; finchè pressato dalla necessità, ripigliò seriamente la mediazione e col mezzo de’ suoi ambasciatori, Champigny a Venezia, e Savary de Breves a Roma fece intendere al Senato; che pensasse alla concordia, non fosse così sofistico, prestasse la debita obbedienza al pontefice e la pace con lui coltivasse; e al pontefice, non cercasse brighe se non ne voleva, moderasse i suoi desiderii, considerasse i pericoli della Santa Sede e quanto le fosse necessaria l’amicizia della Repubblica: che quell’insistere perchè Frà Paolo comparisse a Roma, o il volerne fare abbruciare l’effigie era fatto enorme, riprovevole, massime dopo il brutto scherzo delle stilettate; e che non era decoro nè giustizia il volersi egli far giudice in causa propria: contenesse la foga de’ suoi cortegiani, impedisse gli scandali che assai e troppo erano sortiti a detrimento della sua fama e della religione.

Il papa metteva in campo un mondo di querele: I veneziani non volerlo compiacere di un’abazìa vacante, abusare della sua bontà paterna, spregiare il suo nunzio, imprigionare molti preti, far insomma cose che non farebbono gli eretici. «Che più? sclamava egli, stipendiano tre o quattro teologi per scrivere contro di noi. Ma gli castigherò. E quel Fra Paolo? Ho fatto esaminare i suoi libri e vi ho trovato entro otto eresie formali. Frà Fulgenzio anch’egli ha predicato questa quaresima, non dirò eresie, ma almeno nel senso di un vero scismatico. Il Senato non vuol proibire i libri de’ suoi teologi, e permette che si vendano pubblicamente; anzi so e son certo che hanno fatto venire assai