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e di tutto il racconto insieme sono o inverosimili o false. Per esempio quella società secreta di mille protestanti e quella confessione così franca del Consultore riescono assai difficili allo storico francese, nè io saprei digerirle meglio di lui; e so nemmanco come Frà Paolo potesse contare sulle prediche dei ministri riformati, sapendo egli meglio di ogni altri che in Venezia il culto pubblico de’ riformati fu sempre impedito da leggi severe: potevano ben fare i loro esercizi religiosi, ma in casa, in luoghi appartati e a porte chiuse. I protestanti dopo l’interdetto erano molto prevenuti sul conto di Venezia, e sperando di vederla o luterana o calvinista, si erano avvezzati a giudicarla dai loro pregiudizi, davano fede ai più strani racconti, o ne inventavano, o gli aggrandivano. Per quello riguarda Frà Paolo, maggiori ancora erano le loro prevenzioni. Tutti volevano avergli parlato, e conosciutine le opinioni e i pensieri; e intanto era pur questi il medesimo uomo così occulto, artifizioso e dissimulatore che i Curiali in tanti anni di assidue esplorazioni non hanno mai potuto penetrare: a giudizio degli uni era un frate dabbene che apriva il suo cuore al primo sconosciuto che gli capitava innanzi; a giudizio degli altri era un fintone doppio che velava i propri sentimenti con una profonda e non mai convinta ipocrisia. Fra le due contrarie opinioni questo è certo che il Sarpi in fatto di teologia pensava liberamente, senza badare a cattolici o a protestanti; ma se in punti delicati e controversi veniva richiesto del suo parere, era solito esprimersi per termini così generali che o lasciava intatta la


Vita di F. Paolo T. II. 3