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amico del Galileo, e carteggiò coi più dotti uomini del suo tempo, di cui si meritò la stima col suo sapere. Era sommo teologo, politico e giureconsulto; aveva fama tra i primi predicatori di quella età, ed era profondo ancora nella fisica e matematica. Ciò non lo fece esente da persecuzioni. Urbano VIII cercò di tirarlo a Roma colla solita esca degli onori, ma in verità per farlo impiccare; il Servita non si sentì voglia d’imitare il Francescano dello stesso suo nome; allora il Beatissimo Padre lo denunciò alla Repubblica per frate scandaloso, pubblico concubinario, che aveva bastardi e bastarde in gran numero, cosa manifesta, diceva il papa, a tutto il mondo. Ma simili accuse, addotte sempre senza provarle, in bocca delle persone ecclesiastiche sono così consuete che possono passare per una formalità. Certo è che in Venezia Frà Fulgenzio godette costantemente la stima di tutte le persone probe, e la piena confidenza del governo che non fece alcun caso della catilinaria di papa Urbano. Un’accusa la quale mi sembra alquanto più fondata è che non si curava gran fatto d’imitare la liberalità del suo amico e maestro; chè anzi si mostrava attaccato al denaro meglio che no: vizio ordinario ai frati che tanto più ambiscono per privazione quello che devono disprezzare per voto. Ma conviene avvertire che tale sua più parsimonia che avarizia, limitata a far marsupio de’ suoi onesti guadagni, non mai la estese a tradire il suo dovere, nel quale si mantenne fedelissimo ed incorrotto. Morì in Venezia ai 7 febbraio del 1654 di 83 anni. Ebbe magnifiche esequie e la-