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capo xxx. 335

dalle nemicizie romane, gli venne voglia di render pago l’antico suo desiderio, e pensò di cercare da penitente pellegrino la Terra Santa e poi chiudersi in qualche monastero del Levante. Ma chi crederebbe che questo disegno, il quale più che disegno era innocente delirio d’uomo vecchio che vagheggia i sogni della sua giovinezza, dovesse parimente soggiacere a censura? Lessi un libro da gesuita che Frà Paolo, disperando omai di commovere l’Italia con novità religiose, intendesse di trasportarsi in Levante per sollevare contro l’autorità del papa i Greci e forse anco i Turchi!!

Innamorato nella sua fissazione, quasi che il suo governo, che gli aveva prestato tante cure e tante ancora gliene prestava, l’avrebbe voluto lasciar emigrare, si diede a far masserizia e accumulò un migliaio circa di ducati, dicendo averne bisogno pel viaggio; raccoglieva notizia delle strade, delle spese, de’ costumi de’ popoli orientali, massime dei religiosi cristiani: ma non confidava quel suo proposito se non all’amico del suo cuore, Frà Fulgenzio. Era sicuramente una chimera puerile, uno di quei sogni consueti agli uomini ribambiti sotto il peso degli anni e stanchi da una vita piena di tumulto e di gloria. Ma probabilmente la fomentavano l’involontaria pubblicazione della sua Istoria del Concilio, il timore delle sue conseguenze, le domande di Gregorio XV, i rinati sdegni della Curia; e benchè fosse certo il patrocinio del governo, non gli mancavano nemici in Venezia, e col crescere della età essendogli scemato il coraggio e la confidenza e avendo perduti non pochi de’ suoi protettori ed