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capo xviii. 25

col papa e attentati contro il suo Frà Paolo. Scandalizzavano i primi, perocchè la corte di Roma aveva sempre lo svantaggio di farsi la protettrice di quanto v’ha di più iniquo; scandalizzavano i secondi, perchè ammirandosi da ciascuno la virtù e la pietà del Sarpi, vedendo palliati di religione i tentati assassinii, si offendevano le opinioni pubbliche e la religione cadeva.

Non però mancavano i suoi partigiani alla Corte: molti consentivano con lei per interessi propri o dei congiunti e per le ottenute o sperate dignità della Chiesa, avendo quale il figlio, quale il fratello, quale il cugino ecclesiastico; e stavano ancora con lei la solita inerzia, le vecchie abitudini, la ripugnanza alle cose nuove, e gli spiriti deboli o superstiziosi che nei cherici vedono l’abito, non i costumi, o gli ipocriti a cui la pietà è un’arte.

Ma Frà Paolo, tenace ne’ suoi propositi e pratico de’ governi e più ancora di quei di repubblica, sapeva i modi con cui per vie indirette si guidano le moltitudini a deliberazioni impensate ed anco inevitabili. L’acuto suo colpo d’occhio politico, discorrendo vastissimi spazii, vedeva la Spagna potente, ma bisognosa di pace; la Francia potente, ma bisognosa di guerra; il re d’Inghilterra inteso a controversie teologiche; i principi d’Italia fiacchi e non buoni a conservare la pace nè a fare la guerra; il solo duca di Savoia, forte nelle armi, ma incostante e pieno di astuzie, delle quali, a dir vero, aveva bisogno per destreggiarsi tra Francia e Spagna: ma il troppo noceva a lui e agli altri; il pontefice ambizioso della grandezza ponteficia e di quella della