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24 capo xviii.

be voluto ridurre tutta in mano del governo civile, e al medesimo assoggettare il corpo ecclesiastico e i loro beni. In Francia, in Spagna, scriveva egli, l’onnipotenza pontificale nella collazione dei beneficii è frenata da leggi: arbitraria è solo in Italia; ma se questa lite procede, spero bene di restringerla. Non potè effettuare i suoi pensieri, chè i tempi non erano maturi; ma a lui sopravvissero le sue dottrine, e fruttificarono.

La corte di Roma a forza di premere la Repubblica si era fatta odiosa e increscevole. La parte più illuminata e più coraggiosa dei patrizi e cittadini, stracchi di un giogo che gli travagliava incessantemente, e di una corte avida, indiscreta e che copriva di religione i fini disonesti dell’interesse, desiderava di emanciparsi da un imperio prepotente a cui il passato non serviva di memoria e pareva sfidasse i propri precipizi, e con cui non era contingibile nè pace nè tregua. Il volgo ancora si era spregiudicato; a che, oltre i successi dell’interdetto, contribuirono le recenti leghe coi Grigioni eretici, e il frequente concorso di loro nella città. Da prima quel nome di luterano o di calvinista gli era così esoso, da stimar quei settari a ragguaglio dei Turchi; ma in appresso trovandoli nella pratica uomini buoni, trattosi e pii, e udendo ripetere contro sè que’ medesimi nomi, cominciò a persuadersi che eretico volesse significare tutti coloro che non patiscono le ingiurie dei preti. Così i Curiali per loro mal senno accreditavano quello che appunto screditare volevano. A sì fatta credenza dava nella plebe fondamento quel sentire di continuo contrasti