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capo xxviii. 307

razioni, e ricordi il lettore che ha innanzi non uno storico ma un panegirista, non un narratore coscienzioso, ma uno scrittore che sacrifica la verità ai pregiudizi personali e allo spirito di sêtta, si troverà che l’Istoria del Pallavicino serve a confermare in massima quella di Frà Paolo. O si legga l’uno, o si legga l’altro, il concilio di Trento appare pur sempre coi medesimi intrighi, e la corte di Roma colle stesse versuzie: la sola differenza è questa, che Frà Paolo giudica da rigido censore che trova tutto cattivo, e il Pallavicino da prezzolato adulatore che trova tutto buono.

In mal punto fu pubblicata la sua Istoria dal Pallavicino, e poco stette che non costasse nuove mortificazioni alla sua Compagnia.

Erano già 50 anni da che ella era bandita da Venezia; e nel corso di un mezzo secolo anzichè allenirsi l’animadversione si era sempre alimentata riproducendo di quando in quando decreti odiosi contro a’ gesuiti, durante che i gesuiti mai non mancavano di nuocere alla Repubblica. La quale, considerandoli come una società di appestati, aveva proibito sotto pene severissime di avere comunicazione o carteggio che siasi con loro. Sopravvenne intanto la famosa guerra di Candia cominciata nel 1645 e terminata, dopo un assedio di oltre 20 anni e colla quasi totale cessione di quell’isola ai Turchi, nel 1669: guerra che fu una voragine infinita di tesori, e costò alla Repubblica di San Marco la somma spaventevole di oltre 500 milioni di franchi. Venezia era quindi bisognosa delle grazie de’ pontefici, i quali, trattandosi di una guerra contro a’ Turchi, forni-