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capo xxviii. 305

può dispiacere perchè si vede l’arte, non mai la natura. Ma lo stile è slombato, noiosissimo, contaminato troppo spesso da metafore ridicole che puzzano il mal gusto del Seicento; gli ornamenti leccati, i pensieri lambiccati, o gonfi, o diluiti in una farragine di parole scelte senza rispetto alle loro proprietà etimologiche e alla opportunità, sì che diventano intralciati ed oscuri; molti anco sono falsi, nè si aggirano che su bisticchi o cavillazioni.

Nel disegno non ha nè proporzione, nè economia. Difettosa la narrativa per poco ordine e molti interrompimenti. Senza preparazione ci fa saltare da un argomento all’altro; e senza bisogno, e quando è necesario di correre innanzi, ci ferma di punto per farci intendere le noiose sue ciance. Difetta di erudizione e di critica, ha poca cognizione della teologia positiva, nella giurisprudenza canonica non esce mai dalla carraia dei Decretalisti, nei punti conversi parte quasi sempre da una petizione di principio, vizio logico comune a quasi tutti i controversisti di Curia; inchiavato da’ suoi pregiudizi di educazione e di corpo, non vede oltre il presente, sua legge invariabile, e non sa mai slanciarsi alle instituzioni primordiali della Chiesa, e seguirne da istorico le variazioni e le conseguenze; quindi avviene che male intende e peggio risponde al Sarpi, e confondendo tempi e cose, cade in isbagli grossolani di cui pretende poi far onore al suo avversario. Nello sviluppare le materie conciliari non ha l’arte di compendiarle e di spremerne soltanto quel midollo che importa a sapersi, e presentarlo con brevità e chiarezza; ma prolisso, e più teologo


Vita di F. Paolo T. II. 20