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capo xxviii. 303

cembre 1562, e nei cataloghi dei Padri tridentini posteriori al mese di luglio non si trova più il nome di quel teologo, segno evidente che più non vi era.

Infine importa ben da senno a chi vive due o tre secoli più tardi la questione se Francesco Chieregato fosse vescovo di Fabiano o di Téramo: quello che vogliamo sapere è se Frà Paolo possiedette veramente il suo Diario, ed è appunto ciò che il Pallavicino non nega: che importa se un tale editto contenesse 37 capi o solo 35? se un concistoro sia stato tenuto al dì 12 o al dì 13? se un corriere abbia tardato due giorni, ovvero sei giorni? se un dispaccio sia stato portato da un postiglione o da un vescovo? se una congregazione fu tenuta la mattina o la sera, e se il primo a parlare fu Tizio ovvero Sempronio? Di simili minuscoli, oltre che n’è pieno il Pallavicino medesimo, il diligentissimo Porcacchi ne ha rilevato innumerevoli nelle istorie del Guicciardini, nè perciò vi fu alcuno mai che abbia preteso di farne aggravio alla sustanziale veracità di quello storico. Anzi qualunque istorico si esamini, dai più antichi ai più moderni, ve ne ha neppur uno a cui non si possa rimproverare di così fatte inezie che possono forse interessare i dilettanti di gazzette, ma di cui non si cura un lettore sensato.

Beato il Pallavicino se le colpe imputate alla sua Istoria si riducessero a così poco; ma il Padre Bergamini in un brve confronto che fece delle due opere, in quella del cardinale rilevò colla scorta di autentici testimoni quattro grosse falsificazioni di documenti e di fatti di radicale importanza nel solo