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capo xxviii. 295

tarini, Caraffa, Sadoleto e Polo deputati a quest’ufficio da papa Paolo III, fra moltissime brutture si parla del lusso delle meretrici romane che abitavano palagi e uscivano cavalcando mule superbamente bardate, e accompagnate da cardinali e prelati che le facevano corte: ma si veda con quant’arte e prudenza il Sarpi nel darci l’analisi di quel progetto di riforma (nel lib. I, n.° 57) abbia evitato di toccare queste scandalose particolarità. E quanti episodi non gli avrebbono potuto somministrare le infamie di nipoti e bastardi di papa, massime di Alessandro de’ Medici figlio di Clemente VII che sverginò quasi tutte le monache di un convento di domenicane, e di Pietro Aloisio Farnese figlio di Paolo III che stuprò un vescovo e n’ebbe assoluzione dal padre come di una inezia giovenile? Eppure di queste e di tante altre cose che avrebbono potuto fare al proposito non già di uno scrittore maligno, ma di chiunque avesse voluto ritrarre al naturale quali fossero i costumi e la religione di quei tempi, nell’Istoria del Sarpi non si trova neppure il più piccolo indizio. Stretto al suo argomento, egli non dice che ciò che è necessario e tralascia tutto che è incidentale o superfluo, e la sua prudenza andò tant’oltre che tacque persino infinite particolarità, che, dette, avrebbono potuto apparire poco onorerevoli al ponteficato o al clero cattolico: le quali poi furono imprudentemente rivelate dal suo antagonista Pallavicino. È da questo che sappiamo gli artifizi e le doppiezze usate dai legati per deviare le discussioni non favorevoli all’interesse romano, e come della riuscita si applaudissero e la chiamas-