Pagina:Bianchi-Giovini - Biografia di Frà Paolo Sarpi, vol.2, Zurigo, 1847.djvu/302

294 capo xxviii.

sempre detestati; e se fa deridere da alcuni grammatici certe locuzioni usate nei decreti conciliari, si è che quelle locuzioni sono barbare davvero ei inintelligibili, per lo meno equivoche.

Circa poi a quel preteso astio maligno, ripeterò qui quello che già dissi in una Prefazione all’Istoria del Concilio Tridentino. Se uno storico che dice la verità, di cui è in debito verso il pubblico, senza passione e senza pregiudizi, si abbia a tacciarlo di maligno solamente perchè dicendo verità ardite offende gli interessi di persone o corpi potenti, che non si potrebbe dire di Tacito e di Svetonio? Ciò pei generali: pei particolari è vero che Frà Paolo loda poco la corte di Roma, perchè vi era poco da lodare; ma se avesse avuto voglia di malignarla, che non avrebbe potuto dire sui costumi di Leone X, di Clemente VII, di Paolo III e di qualche altro dei loro successori, e persino sul popolo romano caduto in tanta pravità, che in occasione di una pestilenza, per farla cessare sacrificò con tutte le formalità pagane un toro agli antichi Dei del Campidoglio? Questo fatto, accaduto nel tempo che papa Adriano VI passava da Barcellona a Genova, tornava molto acconcio allo storico colà dove descrive i disordini trovati da quel pontefice al suo arrivo in Italia; ed era un filo opportuno per entrare a descrivere le corruttele della corte di Roma, la filosofia sensuale e l’ateismo pratico de’ cortegiani, gl’intrighi de’ conclavi, le venalità della Dataria, e darci un’idea delle famose tasse della Penitenzieria e Cancelleria romana. I costumi erano marci a tal segno, che nel piano di riforma scritto dai cardinali Con-