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292 | capo xxviii. |
pietà Frà Paolo perchè ne aveva una opinione diversa. Vero corpo di leggi della Santa Madre Chiesa sono il per lui venerando volume delle Decretali, nè importa che contengano falsità o principii erronei: furono dettate dai papi, e basta perch’egli le consideri un quinto Evangelio.
Depravatissima n’è la morale. Per la soda ragione che Iddio ha indorato il cielo di luce per innamorarne i mortali, è ben fatto che le Chiese risplendano d’oro perchè il popolo se ne invaghisca e vi corra; e come i teatri allettano gli spettatori colla magnificenza delle decorazioni e il chiasso degli spettacoli, così è conforme alla pietà e alla pratica che le Chiese allettino i divoti cogli apparati più sontuosi e più dilettevoli. Partendo da questi principii di una religione puramente materiale, ritiene che i più essenziali doveri si possono omettere mediante una dispensa del papa. Confonde la pietà colla superstizione, e fa consistere la divozione in puerilità di pratiche esterne che niente influiscono sui sodi esercizi della virtù; andare alla messa, assistere o far celebrare con pompa i divini uffizi, non ber vino una o due volte la settimana sono atti di pietà interiore sufficienti per un uomo d’altronde incarnato nelle sensualità e poco curante di religione. Pilastri della Chiesa non sono le grandi virtù, ma le nascite illustri. I precetti della morale non sono pari per tutti, ma vi sono eccezioni pei papi, pei cardinali e per le prime dignità della Chiesa o della società politica. Predicare schiettamente la parola di Cristo non è cosa possibile, anzi qualche favoletta introdotta a proposito è utilissima a con-