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capo xxviii. 289

della corte di Roma, non dev’essere creduto; e che invece si deve credere a lui che è cristiano cattolico e gesuita. La prima tesi contiene due petizioni di principio, perocchè ammette per fermo ciò che resta a provarsi, che il Sarpi avesse nissuna religione: ciò che dice il cardinale non basta, e molti lettori possono avere una opinione diversa dalla sua; e non è poi dimostrato che chi non ha religione debba essere per necessità uom rio. È noto che Spinosa, il quale non credeva in Dio, era di una probità singolare. Altro è un errore della mente prodotto da traviamenti dell’intelletto, ed altro quello che è prodotto dalle corruzioni del cuore. Il primo porta seco un convincimento, e non che nuocere alla moralità delle azioni, la sostenta; perchè in quel sistema le società umane non hanno più altro vincolo. Onde si viddero fra gli antichi assai materialisti, e molti ancora fra i moderni, in cui non si potrebbe desiderare maggiore onestà. L’altro invece è uno sforzo contro la propria coscienza per vivere nella colpa e mortificare i rimorsi, sotto cui o tosto o tardi bisogna cedere. Concessa adunque, per mera ipotesi, che il Sarpi fosse un ateo, essendo che il Pallavicino istesso confessi che era uomo di illibati costumi, resta a provarsi come tal uomo debba per necessità essere menzognero. L’affermare che Frà Paolo non poteva dire la verità perchè era nemico della corte di Roma, vale egualmente che sostenere non poterla dire il Pallavicino perchè era panegirista di lei; anzi è molto più facile che la verità si abbia da un nemico che da un adulatore.


Vita di F. Paolo T. II. 19