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284 capo xxviii.

ed altri o antichi o moderni autori non documenti i suoi racconti, è nondimeno egli stesso testimonio degno di fede, e tanto veridico quanto la sua esperienza e le sue ricerche gli hanno conceduto di esserlo; e che il Pallavicino, come che indichi nel margine abbondanti monumenti, cui egli dice di avere consultati, non pure è scrittore infedele per inesattezza di ricerche o preoccupazione di affetti, ma per deliberate falsità.

Frà Paolo, uomo libero, indipendente, incorruttibile, alieno da ogni adulazione o servilità, stimato per la integrità dell’animo persino dai suoi nemici, per quanto fosse avverso alla corte di Roma l’oner suo, il decoro, la fama di cui godeva l’obbligavano a non mentire. Scrisse la sua istoria stipendiato da nissuno; la scrisse non tanto a profitto de’ presenti quanto de’ posteri, e non ignorava che appena pubblicata avrebbe incontrato numerosi e interessati impugnatori. Quindi gl’incumbeva l’obbligo essenziale di essere veridico sì per giovare al proposito cui intendeva, e sì per cansare al suo nome la vergogna di apparire falsatore e bugiardo: taccia che avrebbe distrutto in un momento quel maraviglioso incantesimo che con tanta fatica e in mezzo a tante persecuzioni era riescito ad esercitare sulla opinione pubblica, e avrebbe dato irremissibilmente causa vinta a’ suoi nemici.

Al contrario il Pallavicino non era padrone di sè stesso quand’anco avesse voluto, ed era obbligato a muovere la penna secondo le passioni di chi lo inspirava. Scriveva in Roma, per comandamento pontificio, sotto l’inspezione della Curia, sotto la censura