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capo xviii. 21

che di cinque papi il meno santo fu il più economo amministratore dei beni della Chiesa.

Torno alla Vagandizza. Oltre alla bruttezza del fatto pieno di cupidità e di avarizia, vi era anche violazione di diritto, perocchè la nomina dell’abate si apparteneva ai monaci camaldolesi di Venezia, i quali per un abuso passato in consuetudine solevano dare quell’abazìa in commenda ad alcuno de’ loro monaci, purchè suddito veneto, solo obbligo che avessero verso il governo. E infatti senza badare al papa, elessero abate e secondo i riti loro installarono un padre Fulgenzio da Padova. Il papa gridava che i privilegi de’ monaci erano ciancie, e fossero anco veri, egli era papa e poteva disfarli; che Fulgenzio era un abate intruso, scomunicato da lui per essersi impossessato dell’abazìa senza suo permesso, e che bisognava scacciarlo. Il governo veneto, per vero, si teneva estraneo alla contesa, e solo fece intendere al papa, essere lui indifferente chi si fosse l’abate della Vagandizza; se al pontefice non piaceva Fulgenzio, un altro ne eleggesse, semprechè fosse suddito veneziano, e del resto se la intendesse coi monaci. Ma l’orgoglioso pontefice, in un impeto di collera a cui per sua mala ventura era di troppo soggetto, parlando all’ambasciatore Contarini si lasciò inconsideratamente fuggire di bocca: I Veneziani prima di domandar grazie devono meritarsele. Un altro avrebbe dissimulato quest’imprudenza, ma il Contarini amico al Sarpi, niente alla Curia, la scrisse tosto a Venezia, nè vi volle altro per rimescolare la bile. Il Senato dichiarò di voler sostenere la causa dei monaci. Molti senatori