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18 capo xviii.

parallelo istorico tra un frate ed un papa. Nol farò dunque, limitandomi a porgerne la materia al lettore, ed avvisandolo che ove inclinasse a confronti e fosse per sentenziare a favore del frate, non dimentichi che era eretico ed ipocrita.

Un Bartolomeo Lanceschi di Siena ciurmatore e venturiero, capitato a Parigi, si spacciò nipote di Paolo V. Teneva magnifico alloggio, ricco treno, tavola sontuosa e splendida corte. Aveva danari, gli spese, e trovò credito a prestanzarne altri. Accreditavano le menzogne un domenicano ed un altro complice. Il nunzio lo seppe, se ne querelò al re Enrico IV, ne scrisse a Roma. Il papa ne concepì tanto sdegno che riscrisse al re pregando che fosse punito di morte il furbo che disonorava la sua casa. Non credeva Enrico che meritasse tanto, ma il Santo Padre instando calorosamente, sollecitò il processo, mandò memorie e accuse, aggrandì il fatto, dicendo che l’impostore era mago, alchimista, e che aveva molti partigiani, e che era sovvenuto dai nemici della Santa Chiesa, e che col sangue solo e’ poteva lavare un tanto delitto. Insomma tanto disse e fece che il povero Lanceschi a’ 22 novembre 1608 fu impiccato; de’ due complici, il secolare fu dannato alla galera, il domenicano chiuso in un convento del suo Ordine.

Ma la nuova cospirazione contro Frà Paolo non servì ad altro che a sempre più alterare gli umori in Venezia, e a confermare il governo nella risoluzione di reprimere ad ogni costo la licenza ecclesiastica. Laddove in Roma lo sdegno della vendetta sempre più si aspreggiava dagli stessi frustanei sforzi