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240 capo xxvi.

gravi in danno dell’arcivescovo. Durante l’interdetto fu tra i prelati che si chiarirono per la Repubblica, e quantunque nulla scrivesse, parlò con tanta libertà che spiacque a Roma e gli fu preclusa la via a più alto salire. Le querele del suo clero fomentando i risentimenti della Corte, e’ venne ad aperta rottura con entrambi; talchè temendo un processo col Sant’Offizio passò a Venezia nel 1615, vi rimase circa un anno, indi scomparve all’improvviso. Andò nei Grigioni, e da Coira scrisse al doge scusando i motivi della subitanea sua partenza, e poco appresso da Eidelberga in Germania pubblicò a stampa un’epistola a’ vescovi della Chiesa cristiana, dove giustificava i motivi di avere abbandonata la sua sede e prometteva che fra poco avrebbe dato a luce altre opere nell’interesse della Chiesa. A’ principii del 1617 arrivò a Londra, ed ivi fece pubblica professione di calvinismo; e per maggior dispregio della corte di Roma, abiurò la fede cattolica nella cattedrale di San Paolo vestito degli abiti episcopali e parodiando le formalità che in simili congiunture si usano a Roma. Quasi in quel torno pubblicò il suo libro De Repubblica Cristiana, dove con scelta e giudiciosa erudizione svolge il sistema antico del governo ecclesiastico: libro stimato dai dotti e fulminato dalla Sacra Congregazione dell’Indice.

In tempi ancora fanatici questa apostasia, congiunta alla qualità dell’uomo, fece molto fracasso in Europa e contribuì sui diversi giudizi portati in seguito alla prefata Istoria del Concilio Tridentino.