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capo xxv. 237

loro le carte comunicategli dal Consiglio dei Dieci e la minuta di una narrazione ufficiale da commettersi al pubblico, chiedendone a loro il parere. Ed essi dopo maturo esame, considerando che la taccia data volgarmente al Bedmar ed all’Ossuna era immensa, che le prove erano poche e soggette a molte obbiezioni, e che sarebbe convenuto al governo di ritrattarsi di quello che senza sua colpa si era sparso fra il pubblico, e che d’altronde la congiura stessa al modo che veniva esposta offriva molte difficoltà e non appariva nè minacciosa nè forte, consigliarono che per allora il silenzio portava meno difficoltà che il parlare: ultimo partito a cui si attenne il governo.

Questa è tutta la parte che in tale negozio ebbe il Sarpi, ed è favola ciò che fu scritto da Gregorio Leti, che assistesse i condannati condotti al patibolo. Anco il Grisellini si è ingannato parlando di un’istoria di quella congiura scritta dal Sarpi e da lui presentata al Collegio, dal quale richiesto del suo parere se conveniva pubblicarla, egli opinasse pel no. Frà Paolo non era uomo da scrivere cose inutili.