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capo xxii. 197

se una gran guerra si fosse manifestata nella penisola, accompagnata da una allagazione di protestanti, ne sarebbe nata una felice rivoluzione; il gesuitismo disperso, il dominio spagnuolo atterrato, e la libertà del pensiero e della parola concessa agli uomini, erano, secondo lui, le primarie conseguenze. «Il papa e la Curia romana, scriveva, fanno quanto possono per non voler guerra in Italia, perchè fra mezzo le armi cesserebbe l’Inquisizione, l’Italia s’impirebbe di gente nemica alla religione romana, e non v’è dubbio che è spacciata la Curia se qui la guerra proseguisse due anni. Anzi due sarebbono le guerre, la militare e la letteraria: e quantunque la Curia vincesse nella prima, ella perderebbe sicuramente nella seconda, non potendo dapertutto far uso degli argomenti ond’è solita persuadere per amore o per forza, roghi e patiboli».

Frà Paolo convinto che la verità basta ad operare da sè medesima anco sugli intelletti più ottusi, non poteva farsi capace che la violenza potesse giovare alla riforma degli abusi. Convinto che l’edifizio romano era una macchina di errori sorretta dalla ignoranza, egli diceva: Fate conoscere quegli errori, distenebrate quella ignoranza e l’edifizio cade da sè. Era un modo di argomentare che disperava i Romanisti, i quali non potevano sostenere il paragone, ed erano obbligati a camminare per via opposta: il Sarpi voleva il libero esame della causa e de’ testimoni, ed e’ comandavano di chiudere gli occhi e le orecchie, e solamente piegare la testa; quelli chiamava la ragione in suo soccorso, cui questi ac-