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196 capo xxii.

lici che si opponevano agli eccessi della corte di Roma e gli volevano aboliti. Ora la Spagna opprimendo l’Italia trovava la sua forza ne’ gesuiti, e la corte di Roma per motivi di religione o per altri interessi che ne usurpavano il nome consentiva con entrambi, e tutti tre insieme formavano quel potere occulto che agiva sullo spirito umano come una pressione, intanto che il protestantismo reagiva in senso contrario. E come la repubblica veneta dopo la morte di Enrico IV era il solo fra gli Stati cattolici che formasse una opposizione politica contro le ambizioni della Spagna, così Frà Paolo per patria e per sentimento doveva mettersi anch’egli da questa parte e spingersi tant’oltre quanto lo permetteva la forza del suo genio. In fatti il suo abborrimento per quella monarchia era infinito, giubilava ad ogni vanità o rovescio di lei, e le augurava guerra fino dai Mori. I tempi di allora erano simili ai tempi presenti, chè colle medesime cause concorrono i medesimi effetti. L’assolutismo spagnuolo, come ora l’assolutismo della Santa Alleanza, dipendeva dalla pace, più presto dalla quiete sepolcrale dell’Italia; ed è perciò che la corte di Madrid rifuggiva da ogni idea di guerra, e i moti che ne nascevano assopiva o colla forza o coi maneggi. Frà Paolo aveva penetrato questo politico arcano, ma pure vedeva impossibile che ritornasse la libertà all’Italia finchè in Roma vi fosse un papa e una corte interessati a conservare l’ignoranza, gli abusi e la servitù, e pronti per ogni vile guadagno o per soddisfare ad un orgoglio a parteggiare con ogni straniero che si presenti e che largheggi le offerte; e gli pareva che