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capo xxii. | 187 |
dipingere a casa del diavolo. Mi raccontava un giovane che studiava la giurisprudenza, che essendo stato condotto in quella sala e mostrategli le anime dannate, gli fu detto l’uno essere Alberico da Rosate, altro il Roseto, altro il Covarruvias; e quello che mi fece più ridere si è che gli fu mostrato tra le fiamme un posto vuoto, e dettogli essere quello riservato all’anima del Menocchio, che era ancora vivo. Sono cose che fanno ridere; ma pure è con tali ridicolaggini che esercitano la loro tirannide». Non v’ha dubbio che se i gesuiti avevano fatto dipingere fra i dannati gli accennati celebri giureconsulti, e spinta la bontà fino a destinare un posto al presidente Menocchio, non avranno mancato di fare lo stesso anco in prò di Frà Paolo; e intanto con queste imposture, che non sortivano senza effetto sulle tenere immaginazioni dei loro allievi, gli avvezzavano di buon ora nei pregiudizi e nell’odio verso quegli scrittori cui volevano far detestare.
Negli altri Ordini tutto era costituzionale, e fra i gesuiti era tutto dispotico. Il preposito generale che risiedeva costantemente a Roma sceglieva egli i prepositi provinciali, i procuratori, i rettori de’ collegi, i professori; i quali non avevano altra autorità tranne quella delegatagli da lui, cui poteva ampliare o ristringere a talento; nissun novizio poteva essere accettato senza sua participazione; egli solo poteva ascrivere i coadiutori, egli solo decidere del tempo in cui si poteva professare i voti solenni, e se conveniva professarne tre o quattro; egli prolungava le prove o le abbreviava, e dispensava dagli