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170 capo xxii.

vie probabili. Ecco adunque il rimedio. Un’azione, dicono i gesuiti, può essere cattiva quanto si vuole, se chi la commette non pensa a Dio in quel momento, o la commette senza intenzione di offenderlo, egli non pecca, perchè questo è peccato puramente filosofico; ma se in quel punto si ricorda di Dio o lo fa con precisa intenzione di offenderlo, il peccato diventa teologico. Tra molti scelgo le parole del padre de Rhodes: «Non è peccato nè mortale nè veniale se, commettendo un atto peccaminoso, l’intelletto in quel momento non considera che siavi malizia morale o pericolo di lei; ma se anco il considera, non è peccato mortale se quella considerazione non è ponderata in tutte le sue parti. È poi da avvertirsi che è necessario questo considerare che, commettendo tale azione, possa esservi peccato mortale». Partendo da questi generosi principii non vi è più reità che con una opinione probabile o una piccola distrazione mentale giustificare non si possa. E chi ruba o ammazza o stupra invece di pensare all’offesa di Dio, deve pensare al modo di non essere mandato alla forca o in ergastolo, o per lo meno bastonato.

La fornicazione, secondo i gesuiti, non è peccato, l’adulterio poca cosa; se l’adultero sorpreso in flagranti ammazza il padre o il marito o il fratello della donna adultera, è difesa legittima; l’assassinio di un nemico occulto od aperto o supposto, l’assassinio di un accusatore di un delitto anco vero, dei giudici che stanno per pronunciare sentenza di morte anco giusta, è lecito; la bugia, la calunnia per esonerarsi da un’accusa, è necessaria; il furto