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164 capo xxii.

gione alle sue vere fonti; nelle tradizioni teneva una via di mezzo tra i cattolici e i protestanti: questi tutte le riprovano, quelli tutte le ammettono, intanto che assai de’ loro riti sono apertamente distruttivi delle tradizioni più certe.

Dei Padri della Chiesa raccomandava la lettura non senza far osservare che alcuni di loro hanno spesso trascorso in esagerazioni retoriche, e portavano con seco molti pregiudizi del loro secolo, ed opinioni del paganesimo da cui uscivano; per cui bisogna usare molta attenzione nel leggerli, molto più che per convertire i gentili si sforzavano di dare ad antichi vocaboli un significato diverso dell’accettazione ricevuta, di forma che per rettamente intenderli bisogna piuttosto badare al senso intiero del discorso che al particolare delle parole: osservazione che per quei tempi era nuova, ma che poi fu ripetuta da tutti i critici. Donde si scorge quale profondo studio ne avesse fatto, e come bene conoscesse la lingua in cui scrissero e le materie che trattarono.

Frà Paolo in fatto di teologia speculativa fu un pretto giansenista prima ancora che il famoso Giansenio, suo contemporaneo, facesse tanto parlare di sè. La stima in cui teneva la filosofia degli stoici, che ammettevano il fatalismo, lo trasse a seguire la dottrina della predestinazione insegnata da Sant’Agostino, da San Tommaso, da Giovanni Scoto e da altri scolastici, ed è che Dio sin dal principio del mondo ha determinato il numero di quelli che debbono salvarsi, fuori de’ quali tutti gli altri sono reprobi; e non pertanto ciascuno debbe sforzarsi