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capo xxii. 157

la confessione è molto antica e che anco i patriarchi del Vecchio Testamento si confessavano come lo attestano le Sacre Carte nelle quali si legge spesissimo il confiteor, confitemini e confitebor: cose tutte che potevano passabilmente occupare l’ozio di quei venerabili Padri, ma che nulla importavano alla edificazione de’ popoli.

Osserva il Consultore che l’orgoglio e l’adulazione avevano talmente affascinato i pontefici, fino a patire che fossero chiamati Iddii, e credere che fossero uguali a Dio, infallibili, superiori a tutte le leggi, che nissuno può giudicarli: massime che alla Chiesa ed al mondo fruttarono mali infiniti. Eppure, esclamava, perchè noi a Venezia abbiamo osato sottoporre la potestà papale a quella di Dio, siamo eretici, e le nostre teste sono devote all’anatema. Aggiungeva esservi ormai più articoli di fede del solo papa che non di tutta la religione Cristiana; e raccontava del gesuita Comitolo che in un libro cui intitolò Responsi morali sostenne essere articoli di fede cattolica e divina che ogni pontefice fu vero e legittimo, che fu battezzato, che fu ortodosso, e che fu maschio. Scartando la storia della papessa che è una favola sicuramente, quantunque il Sarpi lasci la questione indecisa, l’ultimo articolo può essere creduto ad occhi chiusi viste le prove irrefragabili di paternità che diedero moltissimi papi.

È una grande eresia di Frà Paolo l’avere affibbiato alla corte di Roma gli epiteti di Babilonia e di meretrice: i buoni Curiali si velano gli occhi per lo scandalo. Io opino che sarebbe meglio usare qualche indulgenza alle parole ed essere più austero