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capo xxi. 133

quali del presidente de Thou, lo fece pregare di mandargli le risposte che avrebbe ricapitate; aggiungendo che desiderava continuare quell’amicizia che per lui ebbero gli ambasciatori, Urault de Maisse e Dufresne Canaye, e che, se gli permetteva, sarebbe andato a fargli visita. Ma il Sarpi che già innanzi l’arrivo di Bruslart si era informato in Francia chi egli si fosse e di quale natura, e lo sapeva più al male che al bene inclinato, ricevette le lettere, non mandò le risposte, e fecegli dire che essendo consultore non poteva senza permissione trattenersi con lui. Di che indispettito Leone, non se ne curò altro, e scrisse in Francia che Frà Paolo era uomo senza religione, senza fede, senza coscienza e che non credeva nell’immortalità dell’anima.

Sulla fine del 1612 Bruslart ricevette comandamento da Villeroi di adoperarsi col nunzio di Venezia onde presentare al Collegio le lettere che ho detto, e far in modo che Frà Paolo fosse sgabellato; per lo meno spiare le sue relazioni, e il modo come staggire il suo carteggio. Consultarono Gessi e Bruslart, ma videro che il Consultore era troppo dentro nel cuore de’ Veneziani, e sodamente fondata la sua riputazione, talchè non avrebbono potuto essi mutare, per cosa che facessero, le opinioni; e quand’anco fosse ciò stato possibile, l’attuale momento era tutt’altro che propizio, stantechè le vive controversie di confini, di giurisdizione, di sovranità, ed altre contingenze politiche rendevano in quel punto non pure utile, ma necessaria alla Repubblica la persona di Frà Paolo: molto più che era comparso in quell’anno il libro dello Squitinio così