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132 capo xxi.

vare qualche altro che lo secondasse e desse maggior peso ed autorità alla rimostranza.

Fu scritto all’Ubaldini che interessasse la corte di Francia; ed egli fece intendere alla regina Maria ed al Villeroi quale servizio renderebbono alla santa religione se cooperassero con lui a far perdere impiego, fama e vita ad un empio qual era Frà Paolo. Tra le molte lettere di lui che si dicono essere state trasmesse a Roma dall’Ubaldini, evvene alcune dove l’autore parla del re Enrico, della Francia e dei Francesi con modi assai sprezzanti; ma le ingiurie non essendo nello stile di Frà Paolo, e quei modi essendo parimente contrari alla opinione che lui aveva di quel principe e di quella nazione, io sospetto che sianvi stati aggiunti nelle copie dai medesimi suoi nemici onde viemeglio incitare la corte di Francia avverso di lui.

Queste pratiche durarono qualche tempo; perchè infine non essendo altro che un pettegolezzo, la corte di Francia, malgrado la sua bacchettoneria, non poteva così di seguito occuparsene come di grave negozio di Stato.

Sul finire del 1611, a Champigny era succeduto nell’ambasceria di Venezia Leone Bruslart; di parte, spagnuolo; d’indole, doppio; di religione, ipocrita; il quale o che avesse qualche intendimento col nunzio o con gesuiti, o che per propria malignità il facesse, appena giunto al luogo di sua residenza intese ad amicarsi Frà Paolo per ispiarne le azioni e i pensieri, o rapirgli documento che potesse giovare alla sua rovina. E colto il pretesto di trasmettergli due lettere di cui era portatore, una delle