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6 capo xviii.

tasse del tutto, s’infingeva e lasciava fare affine d’incuter paura alla Corte e farle paventare una separazione. E quella quantunque di ciò temesse non poco, e non ne dissimulasse i pericoli e le conseguenze, cieca per ambizione e per desiderio di vendetta, andava esacerbando gli umori. Le pareva un bel tratto se poteva mettere la diffidenza tra il governo e quei cherici, e una bella soddisfazione per lei se poteva indurre i principali a fuggire a Roma e farli ritrattare. Il nunzio Gessi ebbe ordine di spendere danari e promesse all’avvenante della qualità della persona. Intanto che esso e i suoi agenti si maneggiavano di dentro, i gesuiti di fuori movevano ogni pietra; e più particolarmente il padre Possevino, cui l’età più che settuagenaria non aveva punto ammollito quello spirito intrigatore onde si distinse nell’affaccendata sua vita.

Durante ancora la controversia scrivendo lettere sopra lettere, mandando mezzani e danari, era riuscito a far fuggire alcuni frati che si erano chiariti in pro della Repubblica; e a’ 17 ottobre del 1606 scrisse da Bologna al padre Capello, uno dei sette teologi, esortandolo con stile pietosamente ipocrita a fare lo stesso, offrendogli asilo, protezione sicurezza, comodi ed onori. Il Capello più franco, fece stampare la lettera del Possevino, e vi aggiunse in data del 3 novembre un’assai vigorosa, ma pur modesta risposta, dove ribatte le ragioni del gesuita e giustifica le proprie, e il procedere della Repubblica. Ma tosto dopo finita la lite, citato a Roma, sicuro della sua innocenza, e fidando nei patti dell’accomodamento, vi andò, malgrado l’età sua vec-