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capo xx. 121

lettera, ammonito a darsi buona guardia, e offertogli tutto che gli potesse occorrere a propria conservazione.

Questa nuova trama era stata rivelata secretamente all’ambasciatore da un cardinale, il quale io suppongo essere stato il Bellarmino; perocchè questo medesimo ebbe la generosità, propria solo degli animi grandi, di renderlo altre volte avvisato che badasse a’ suoi giorni. E fece più. Un cattivo frate, Felice da Vicenza, aveva composto un libello infamatorio col titolo: Vita di Frà Paolo, e sperandone gran premio lo presentò al papa, il quale lo diede a vedere al Bellarmino. Questi dopo averlo letto gli disse: «Beatissimo Padre, questo libello è un tessuto di menzogne: io conosco Frà Paolo, e lo conosco uomo da bene e d’intemerati costumi, e se calunnie così fatte si lasciassero pubblicare da noi, tutto nostro sarebbe il disonore».

Crederà mai il lettore che vi sia stato un vescovo al mondo che trovasse riprovevoli questi tratti di luminosa virtù, e che stimandoli peccati enormi abbia fatto sforzi per provare che il Bellarmino «uomo santissimo non potè fare così poca stima e delle censure ecclesiastiche, che a loro dispregio mandasse a salutare Frà Paolo sapendo che era scomunicato notorio e contumace, con la qual sorte d’uomini è interdetto ogni genere di commercio e fino di salutarli?» Questo vescovo fu monsignor Giusto Fontanini, e le riferite parole stanno nella sua Storia arcana di Frà Paolo, a carte 107. E il medesimo parlando del libro succi-