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346 capo xvii.

ravano queste empie macchinazioni e che continuava il Poma gli apparecchi per la novella impresa a cui partecipavano come volontari tre frati de’ Minori Conventuali, Tommaso di Zanon, uno de’ barcaiaoli che aveva aiutato il Poma a fuggire da Venezia, indettatosi col segretario della legazione veneta, lo andava corrucolando per trarlo nella rete e darlo con tutta la geldra in mano de’ Veneziani. Gli assassini imbarcherebbono a Ferrara, Tommaso doveva guidarli; e siccome viaggiavano di notte e nissuno di loro era pratico dei luoghi, così egli approderebbe a tale o tal riva dove appostassero numerosi soldati della Repubblica. Tutti coloro erano disperati e sarebbonsi battuti sino all’anima, ma Tommaso pensava di bagnare la polvere in modo che non potesse più fare l’ufficio, così che sarebbero diventati una preda facile. Questa trappola era condotta con tanta secretezza ed accorgimento che non poteva fallire, nutrendo il Poma la migliore fidanza nel suo piloto; ma nel meglio della esecuzione, cioè quando stavano omai per partire, sopraggiunse un caso imprevisto onde affatto mutarono le cose.

(1608). Ai primi di novembre, per ordine del pontefice, fu intimato al Poma, sgomberasse lo Stato Ecclesiastico. Egli si era lagnato più volte dell’abbandono in cui lo lasciavano: Io ho ruinato casa mia, diceva un giorno, ho perduto tante migliaia di ducati, e vengo burlato, e si fa niente di me. Ora rinovò le sue querele e disse che non sarebbe partito, se non lo soccorrevano. Gli furono offerti 200 ducati, e di mettere Ruffino suo figliuolo in un seminario di Roma. Non si contentò, gridò, si lasciò