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342 capo xvii.

gli scrivevano da Venezia, se ne guardasse e non uscisse più da Roma, chè avevano per certo, volerlo il Parrasio ammazzare. Dolorosa punizione di uomini delinquenti che flagellati dalla mala coscienza avevano sempre dinanzi l’immagine del loro delitto e gli spaventi del supplizio.

A questi miserevoli strazi si aggiungeva nel Poma lo stato infelice della sua famiglia in Venezia, ridotta a così estrema povertà che non trovava soccorsi neppure nei più prossimi parenti; egli stesso in Roma viveva penosamente, di giorno in giorno, cibato più di speranze che di pane, spogliandosi mano a mano di ogni cosa più necessaria, o mendicando qualche tenue soccorso da’ più caldi sostenitori. Confessa egli medesimo che passò uno de’ più rigidi inverni senza veder fuoco. Infelice, disperato, bestemmiò i santi, si votò al diavolo, ne fece una immagine, la pose sovra un altarino e disse che da lui solo sperava conforto. Inspirazione diabolica gli fece immaginare nuovi delitti: pensava di raccogliere una masnada, di armare con essa una barca, di andare nelle acque del Po, di scorrere i confini veneziani ed intercettare qualche ricco carico di merci o di danari che da Venezia alle province e viceversa di continuo viaggiavano. Gli fu suggerito di ritentare l’impresa contra Frà Paolo. Forsennato al segno di correre un pericolo evidente e morire fra supplizi orribili, accettò il partito e vi si adoperò col massimo impegno. Il proposito era di averlo assolutamente vivo e trarlo a Roma, scegliendo un giorno di solennità in cui tutti i preti e’ frati andassero in processione, di forma che il popolo sviato