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capo xii. 237

la proibì, e con essa tutte le altre scritture non ancora stampate, siccome contenenti proposizioni eretiche, erronee, scandalose, offendenti le orecchie pie: riuniti tutti questi epiteti in globo coll’avverbio rispettivamente così che non si sapeva che cosa s’intendessero, e quali fossero le proposizioni dannate. E quel dannare le opere non ancora stampate fece giustamente ridere Frà Paolo, il quale diceva celiando: «Se ci fosse venuto in mente di usare il capo XIII della epistola ai Romani e mettervi per titolo Diritti della Repubblica Veneta, per un bizzarro decreto dell’Inquisizione San Paolo diventava autore di proposizioni eretiche, erronee, scandalose, ecc.»

(1606 luglio). Non si ardì fare lo stesso del Gerson per la riputazione di cui godeva da 200 anni, ma rilevandosi quale fosse l’intenzione di chi lo aveva tradotto, il papa diede commissione al cardinal Bellarmino di confutare tanto esso che la lettera delle otto proposizioni. E allora non fu veduto senza stupore che il Gerson, autore ortodossissimo, fosse da quel cardinale, dopo averlo chiamato dottore di molta scienza e pietà, tacciato acerbamente di sospetto, anzi chiaramente erroneo, il che in termini un po’ più laconici vuol dire eretico. Il vescovo Bossuet non potè frenare la sua indignazione.

Non voglio preterire l’occasione di far conoscere una tra le molte annotazioni a penna scritte in margine di un esemplare delle storie di Andrea Morosini che io possiedo, la quale traduco letteralmente dal latino. Alle parole del Morosini ove dice: «Il Senato, udito il consiglio d’uomini sapientissimi