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132 capo viii.

e comodità di attendere più riposatamente a’ miei studii; e mostrarmi, in tutte le occasioni che potessero nascere, quel riverente e sviscerato servidore di questo serenissimo dominio che ho sempre fatto professione di essere, e che mi farò conoscere finchè il signor Dio mi terrà in vita. E in buona grazia di Vostra Serenità e di Vostre Eccellenze umilissimamente mi raccomando».

Il Senato onde non esporre sè e il Servita a nuovo rifiuto, incumbenzò il suo ambasciatore a Roma Giovanni Mocenigo di saggiar terreno, e scandagliare l’animo di Clemente VIII; e l’ambasciatore ne fece vivissime instanze al pontefice, parlandogli della passata ingiustizia, della compiacenza della Repubblica verso di lui, dei meriti di Frà Paolo, della sua probità, religione e sapere: a cui Clemente rispondeva: So che è un uomo di eminente dottrina, ma pratica con eretici. Era un pretesto indegno del buon senso di quel papa, il quale appunto allora stipendiava per suo medico il celebre Andrea Cesalpino, accusato pubblicamente di materialismo; ma e’ nascondeva altra materia sotto. Imperocchè oltre che era poco disposto a favorire la Repubblica pei dissapori che aveva con lei, era disgustato del Sarpi, sapendo i pareri che avevale dato intorno alle controversie ferraresi, e a quella di Ceneda, e alla recente sull’esame del patriarca, e intorno al concordato per l’affare dell’Indice; e temeva che questo frate diventato vescovo, in una diocesi dello Stato veneto, fosse per restar sempre veneziano, e che quanto facile era di opprimere un frate, altrettanto difficile diventava il far fronte ad un prelato che alla grandezza del titolo